Premessa

Qualunque discorso e qualunque pensiero che viene fatto, viene fatto in un modo che non è mai casuale. Non è affatto un caso che un discorso venga fatto in un modo piuttosto che in un altro. C’è un motivo preciso ed individuabile che si chiama premessa. La premessa maggiore di qualunque discorso è la sua condizione, il motivo per cui esso è tale, è in quel modo. Chiunque, quando parla o pensa, lo fa sempre partendo da una premessa.

Molto spesso però, il parlante non è consapevole della premessa che muove il proprio discorso perché essa è data da un’affermazione che si è radicata e che si considera una verità. Tutto ciò che costituisce una verità funge da premessa, cioè viene utilizzata come fondamento per la costruzione di un discorso, di un pensiero. 

La premessa, da un punto di vista strutturale, fa parte di un sistema, chiamato sistema inferenziale che è composto anche da passaggi e da una conclusione e che serve praticamente per fare qualunque cosa, a partire dal sapere ciò che si sta facendo. Il sapere, giungere ad un sapere, è propriamente un fare. Quando imparo, quando giungo ad una conoscenza, sto esattamente facendo qualcosa. E quando giungo a sapere che sto facendo qualcosa, c’è la forte eventualità che stia facendo proprio la cosa più importante, cioè la cosa necessaria per poter fare qualunque cosa. Che se non so che posso fare qualcosa, come posso farla…..? Posso farla soltanto inconsapevolmente, ma a quel punto forse non è esattamente un fare, se con questo intendiamo il mettere deliberatamente in atto qualcosa, cioè agire, ma è un più un reagire, cioè un mettere in atto involontariamente qualcosa che segue a qualcos’altro che funge da imperativo, da comando, da impulso, è un conseguire a qualcosa di preprogrammato e non intenzionale.

Quella dell’inconsapevolezza umana è una questione che ha aperto a grandi interrogativi e attorno alla quale sono state costruite delle argomentazioni, delle inferenze che hanno portato taluni ad affermare che non esiste la volontà negli esseri umani, che nessuno è libero di scegliere e siamo tutti mossi nelle nostre azioni da meccanismi ancestrali che si sono installati e radicati dagli albori della nostra esistenza. In pratica, non c’è alcun atto, alcuna azione, tutto è il prodotto di una sorta di reazione a catena, sia a livello macrocosmico, come il risultato susseguitosi dalla comparsa dell’universo, fino a quella delle galassie, passando per quella della Via Lattea, dal sistema solare al pianeta Terra, per arrivare alla comparsa della vita e dell’essere umano, cioè di colui che ha messo in sequenza tutte queste cose, sia a livello microcosmico come individui ciascuno avente una propria unicità, strutturatasi in modo conseguente a tutte quelle precipue concatenazioni di eventi ed effetti, che si sono susseguiti durante il proprio percorso esistenziale. 

Il che in molti casi è vero, sono molti i casi in cui la persona non è assolutamente consapevole delle proprie inferenze, o del modo in cui le costruisce, non essendo consapevole del proprio pensiero, non può esserlo delle sue azioni, dunque non può sapere nulla perché non può accorgersi di ciò che fa. Ma un conto è prenderla come una cosa accidentale, sulla quale è possibile intervenire, un altro come una cosa assoluta, in quel caso è la stessa cosa che dire: “solo dio sa”…. Si tratta dell’affermazione dell’assoluta irresponsabilità di tutto ciò che riguarda le cose che si dicono, pensano e fanno. La psicanalisi, per ultima, ha dato un grosso contributo affermando che tutto procede dall’inconscio, cioè qualcosa che, per definizione, non può essere conosciuto e che produce degli effetti i quali determinano appunto la vita della persona. Tutto questo procede niente più che da un non sapere, ha a fondamento per potersi costruire un non sapere. E su un non sapere non è possibile fondare nulla, alcuna teoria, alcun pensiero, nemmeno quel pensiero che pensa di provenire da un non sapere. Come si fa, infatti, a pensare una cosa del genere? Come si fa a pensare che ciò che si sa, cioè il fatto di non sapere, provenga da un sapere, cioè da qualcosa che non si sa? Ciò di cui non ci si accorge di fare, in tutti questi casi, è che prima si nega la possibilità di un sapere, poi si affermano delle cose come se le si sapessero. Bizzarro fenomeno. 

Non a caso alcuni tra i maggiori sapienti di tutti i tempi, sono giunti ad affermare che tutto ciò di cui gli umani sono consapevoli poggia su un sapere che non è sostenuto da nulla, nulla tra tutto ciò che gli umani hanno trovato e reperito, è possibile porlo a fondamento, tutto ciò di cui hanno consapevolezza gli umani è insostenibile ed ecco quindi qual è la vera consapevolezza dell’essere umano, la mancanza. La mancanza di un fondamento, di una premessa, al proprio sapere, di un fondamento sul quale poter costruire un sapere solido e sostenibile. Ma la questione che sfugge al pensiero è che, in mancanza di un tale fondamento, allora anche la stessa affermazione che ne afferma la mancanza risulta infondata. Per giungere a sapere che manca una premessa non deve mancare una premessa e allora non è possibile giungere a sapere che manca una premessa, che manca il fondamento, una cosa del genere non può essere saputa, tuttavia può essere affermata attraverso l’utilizzo, anziché del sapere, della fede, cioè una persona crede che sia così ed è bell’è fatto e la questione è chiusa lì. 

Tutto ciò che afferma delle verità che sono pensate tali immaginando che esista da qualche parte qualcosa su di cui esse sono fondate, pur non potendolo provare, per l’analista della parola prende il nome di “pensiero religioso” perché, anche se non segue una religione particolare, ha come premessa un atto di fede.

Il pensiero religioso è l’affermazione della mancanza di una responsabilità che deriva dalla mancanza di un sapere, la mancanza di sapere quello che fa perché afferma cose che non sa, come se le sapesse.

Considerando di fondare il proprio pensiero su una premessa necessaria, non si può fare a meno, ciascuna volta che ci si trova dinanzi a delle questioni, di considerare le condizioni per cui esse possono porsi. La scelta di una premessa da cui partire è la conclusione di un procedimento inferenziale, ma dunque con quale criterio si giunge a scegliere una premessa piuttosto che un’altra? Che se il criterio non è necessario, allora neanche la premessa può esserlo. L’unico criterio che può dimostrare di essere necessario per la scelta di una premessa, è il procedimento inferenziale che fa esistere una premessa connettendola con dei passaggi connessi con una conclusione. Se così non fosse, allora occorrerebbe almeno un criterio fatto differentemente, ma un criterio del genere è semplicemente impensabile dal momento che per pensare qualunque cosa utilizzo una premessa, dei passaggi e una conclusione. Questo conduce necessariamente ad affermare che l’unica premessa necessaria è la parola, cioè il logos in atto. 

Affermare questo risulta necessario, necessario proprio per poter affermare questo, come qualunque altra cosa perché senza la parola non è possibile affermare alcunché. Tuttavia, occorre considerare che dinanzi alla più stringente, cogente e potente deduzione logica, molte persone provano perlopiù una sorta di smarrimento perché, sebbene chiunque sostiene di saper pensare, non è sempre esattamente così automatico dato che ciascuno è stato addestrato a pensare in tutt’altro modo. Quel che oggi viene trasmesso e a cui si viene addestrati fin dai primi vagiti, è a cercare la premessa, cioè la verità, in quella che viene chiamata “realtà”, che non è altro ciò a cui rimandano i sensi fisici, cioè quanto vi sia di più ingannevole e che dovrebbe garantire delle cose che si dicono e si pensano. L’inganno consiste proprio nel considerare quella che è una procedura linguistica, cioè appunto la ricerca della verità, come uno strumento per descrivere la “realtà”, nell’accezione comune e superstiziosa di realtà come quella cosa che è tale proprio perché fuori dal linguaggio. Pensare che la realtà è ciò che ciascuno vede, ciò che tocca, ciò che sente, indica soltanto qual è il criterio che si sta utilizzando per affermare le cose che si dicono e serve soltanto ad affermare che le cose stanno così come si dice che siano e a non interrogarle più perché a quel punto c’è la realtà che le garantisce. 

Si tratta di considerare soltanto che senza il linguaggio non è possibile considerare nulla, a partire da quella cosa chiamata “realtà che circonda”. 

Con quale strumento si potrebbe farlo? Per giungere a sapere che qualcosa non è nel linguaggio, occorre utilizzare il linguaggio, dunque tutto quello che si può sapere di ciò che non è nel linguaggio, è nel linguaggio. Affermare che so che qualcosa è fuori dalla parola è falso, poi uno può credere di saperlo, questo sì, ma un conto è credere, un altro sapere.

Il problema di tutto il pensiero è un problema di pensiero religioso, è cioè la supposizione che esista un elemento fuori dalla parola, un elemento assolutamente non sostenibile in nessun modo, su cui esso si è costruito e che al pari di quanto dovrebbe garantire è insostenibile, incerto, vano, vago ed infondato. E’ questa la nobile menzogna su cui è stato costruito tutto. Tutto il discorso politico, filosofico e scientifico occidentale si regge su di una menzogna, quella di cui parlava Platone e che lui ha definito “nobile”, ma che a ben vedere di nobile non ha proprio nulla, la quale afferma una garanzia delle cose al di là di esse. Tutto il successo e l’importanza che ha rivestito, e in gran parte ancora riveste la metafisica, sorge su questo, sull’idea che esiste un elemento che si trova al di là delle cose che si affermano, al di là della parola e che fa da garanzia ad esse. 

Io posso dire che qualcosa esiste fuori dalla parola, posso dire questo come qualunque altra cosa, ma dicendo questo cosa sto facendo esattamente? Sto dicendo. Posso uscire da questo per fare qualunque tipo di considerazione io voglia fare? No. Così come tutto ciò che non fa parte del pensiero non è pensabile, ciò che non è una parola non è dicibile e allora tutto ciò che dico è una parola. È questo l’intoppo da cui non si esce, ciascuna volta in cui si cerca di uscirne riporta immediatamente e inevitabilmente a ciò che si sta facendo, cioè al fatto che si sta parlando, si stanno formando delle costruzioni linguistiche. 

Considerando che qualunque cosa si intenda dire, o pensare, potrà farsi soltanto attraverso delle procedure e che queste sono prettamente linguistiche, ne consegue necessariamente che al di fuori di queste nulla è pensabile, a partire anche da un’eventuale obiezione a questa affermazione.

C’è un punto oltre il quale non si va perché è quello che consente di pensare che ci sia o non ci sia un punto oltre il quale non ci si va. È soltanto questo ciò che non considera il pensiero religioso e che invece non può non considerare chi sceglie di fondare il proprio pensiero su una premessa necessaria. Fuori dal linguaggio non ci si potrebbe nemmeno chiedere se la realtà è fuori dal linguaggio. Certo, ognuno può dire e affermare ciò che vuole, ma si tratta di constatare quali sono le cose che, effettivamente, non si posso non affermare. Quelle che non si può non ammettere dal momento in cui si afferma qualcosa. Quello che non si può non accogliere necessariamente dal momento in cui si pongono delle considerazioni e che non accogliere comporta non accogliere il fatto stesso che si stiano facendo delle considerazioni. La persona che si affaccia per la prima volta a queste questioni potrebbe avere delle difficoltà ad accogliere questo metodo di procedere, tuttavia soltanto procedendo lungo questo percorso si trovano gli strumenti per affrontarle. Questo modo di muoversi toglie ogni possibilità di diffondere alcun inganno, alcuna menzogna. Per compiere questa operazione il passaggio importante è mettere in discussione le proprie verità, i propri pensieri, in altri termini la propria necessità di credere in qualcosa, cioè di compiere un atto di fede per poter utilizzare una premessa. 

E’ stato il prendere con estremo rigore intellettuale l’insegnamento di tutti i grandi pensatori che si sono man mano susseguiti nel corso della storia, a consentirci di giungere a quella che si può finalmente ritenere proprio la premessa necessaria, il criterio fondamentale. Qualunque altro criterio, qualunque altra premessa, hanno la stessa validità di giochetti per bambini, utili solo per dilettare le menti più deboli. La premessa maggiore di qualunque discorso è la sua condizione, cioè il linguaggio, laddove il pensiero manca di porre questo criterio, ciò che ne consegue è un pensiero che gira continuamente a vuoto, che non riesce ad interrogarsi, impedito, mancante, se manca di porre questa premessa, il discorso giunge continuamente ad affermazioni autocontraddittorie, è un discorso che, per affermarsi, deve negarsi.

Partendo da questa unica premessa necessaria, si giunge ad un metodo per considerare le questioni ed un modo di muoversi che, oltre a sbarazzare la possibilità di diffondere alcun inganno e alcuna menzogna, è formidabile perché consente tanta solidità, quanta rapidità di pensiero, che a quel punto può finalmente cominciare ad intendere qualunque cosa con rapidità e precisione. Certo, per compiere questa operazione il passaggio importante è mettere in discussione le proprie verità, i propri pensieri, in altri termini le proprie premesse, evitando assolutamente di ricorrere ad un atto di fede, cioè eliminando tutte le premesse arbitrarie e accogliendo come premessa esclusivamente ciò che proprio non si può eliminare, cioè la parola.