Che cos’è l’analista della parola? Per saperlo, occorre prima sapere cos’è la parola.

Che cos’è la parola? E’ ciò che si sta utilizzando per costruire tanto la domanda, quanto la risposta.

La parola è ciò che dice che cos’è la parola. Poi, certo, dice anche cos’è tutto il resto. Ma è l’unica cosa che non necessita di altro per dirsi. Tutto il resto necessita di essa.

Ma che cos’è “tutto il resto”? E’ ciò che la parola dice che sia.

Spesso qualcuno obietta che la parola è soltanto uno strumento per descrivere delle cose, ma come lo sa? Lo sa perché, dice, le cose esistono al di là della parola. Ma quali cose? Quelle di cui parla….

Questa è la questione, di qualunque cosa si parli, quando si parla si utilizza la parola, non cose che parola non sono.

Per cui risulta molto complicato, assai complicato, voler parlare di cose utilizzando le parole come se queste non fossero parole, ma appunto “cose”, proprio nell’accezione di “cosa” come qualcosa che parola non è, senza accorgersi che la stessa distinzione tra “cose” e “parole” è un fatto di parola e che senza la parola non soltanto non ci sarebbe la parola, ma nemmeno tutte quelle “cose” di cui le persone parlano credendo che non siano parole.

Tutto ciò di cui si parla e che si pensa non esisterebbe senza la parola, che è la condizione del pensiero e, dunque, anche la condizione per pensare l’esistenza.

La parola non è soltanto la verbalizzazione, la parola è tutto ciò che può essere considerato un segno, cioè qualcosa che significa, che rinvia a un’altra cosa, cioè al suo significato.

Se qualcosa ha un significato, allora è necessariamente una parola e di tutto ciò che non ha un significato l’analista della parola non si cura.

La parola è tale, cioè un segno, poiché si costituisce attraverso una struttura semiotica, cioè il logos, nell’accezione antica originale per la quale ciò che oggi si distingue in “linguaggio” e “pensiero” assume lo stesso significato.

La parola certo, è uno strumento. E’ lo strumento per sapere qualunque cosa, per sapere cosa esiste, per potere conoscere cosa esiste, ma non solo, è anche lo strumento con cui si costruisce il criterio di esistenza, lo strumento con cui è possibile domandarsi se una cosa è vera, oppure no, lo strumento con cui si può giungere ad una certezza. E’ l’unico strumento che abbiamo per sapere che cos’è uno strumento, l’unico per sapere che esiste uno strumento e l’unico strumento che ci consente di accorgerci di avere uno strumento. Ma a fronte dell’utilizzo di questo strumento, spesso la persona non sa assolutamente nulla di ciò che fa con esso e ha un’idea molto vaga di cosa sia la parola, con essa costruisce affermazioni che sono fatte per lo più di cose che ha sentito dire, nozioni che ha immagazzinato e che non ha mai interrogato in profondità. Questo perché nessuno, a parte l’analista della parola, offre gli strumenti tecnici per poter interrogare fino a fondo le questioni e anche per accorgersi delle condizioni per cui si accoglie una risposta, che non sempre le condizioni sono quelle necessarie e allora neanche la risposta lo è, allora perché l’accolgo? L’analista della parola, occupandosi della parola, cioè delle condizioni per cui è possibile giungere ad una risposta, è una persona che si pone molte domande, molte più di quanto le persone siano comunemente disponibili ad accogliere e mette in discussione ciò che nessuno mette in discussione, cioè proprio che esiste qualcosa che non deve essere messa in discussione, l’analista mette in discussione anche questo.

La persona spesso non ha modo di accorgersi che le sue parole, di fatto, non fanno altro che parlare di altre parole. Chiunque non può pensare in assenza di parola, qualunque cosa pensi, ma chi non lo sa crede che le cose che pensa e di cui parla, corrispondano a qualcosa che parola non è. Chi è preso nel discorso comune non può pensare che non può pensare in assenza di logos, di linguaggio. Non si può neanche pensare l’assenza di linguaggio, ma ciò che fa credere addirittura di poterla affermare, è il fatto che tale credenza sia avallata dal luogo comune e questo riflette la totale assenza di pensiero con cui principalmente ha a che fare ogni analista della parola. 

Quello di cui si occupa è di affrontare le cose con la massima onestà intellettuale per conferire finalmente dignità a ciò che si fa, si pensa, si dice, mettendo alla prova il pensiero e il modo in cui funziona, iniziando a considerare come si pensa e che cosa soprattutto consente di farlo. Ciò che tratta riguarda quello che ciascuno dice e pensa, sempre, ogni volta, per qualsiasi motivo, in qualunque circostanza e l’analista della parola fa in modo che la persona si accorga di come tutto ciò funziona e, soprattutto, delle condizioni necessarie perché funzioni e, non da meno, di quelle invece arbitrarie, sostenute dalla fede. Operazione non semplicissima dal momento che tutto ciò che finora è stato costruito, è stato costruito proprio per evitare tutto questo, cioè per evitare di accorgersi del modo in cui si pensa, di come avviene che si pensi, dunque evitare di poter essere responsabili delle proprie azioni, ma siccome da come una persona pensa si comporta e dato che è con la parola che ciascuno pensa, risulta niente affatto marginale intraprendere un percorso di questo tipo. Le cose che si pensano a volte possono avere implicazioni spiacevoli, portare a compiere azioni dagli effetti funesti, soprattutto quando sono l’affermazione di una credenza, da un atto di fede, anziché da una premessa necessaria. 

Il discorso comune è un discorso religioso perché crede, ed occorre una buona dose di credenza, che ciò che afferma sia garantito da una realtà esterna ed indipendente da colui che l’afferma tale, un’ingenuità colossale nel migliore dei casi, uno spudorato inganno nel peggiore. Un’ingenuità e un inganno in cui quasi tutti i parlanti sono presi, non avendo ancora avuto accesso agli strumenti necessari per poter considerare la questione fino all’estremo.

Quindi propriamente, l’analista della parola pone un invito, l’invito a tener conto di ciò di cui non si può non tenere conto dal momento che si parla e si riflette intorno a ciò di cui si sta parlando. Invito dunque che si autoesclude nei confronti di tutti coloro che preferiscono parlare senza riflettere su quello che dicono. Del resto non c’è nessuno che, se lo vuole, non possa diventare analista della parola. La formazione avviene prettamente tramite l’esercizio, esercizio rivolto al proprio discorso, cioè al modo in cui si pensa, quindi un esercizio del pensiero e le pagine, i canali, i profili social, i libretti, le conferenze, le consulenze e tutto quanto viene messo a disposizione dall’analista della parola, muove esattamente in questo senso. Le difficoltà che si incontrano risiedono tutte nel fatto che gli strumenti di cui una persona dispone per affrontare le questioni, sono fatti delle stesse questioni che deve affrontare, da qui qualche difficoltà proprio a considerarle delle questioni, anziché appunto dei fatti. Difficoltà superabili proprio nel procedere lungo questo cammino e nel reperire man mano maggiori strumenti.

Alla luce di tutte queste considerazioni, ne emerge semplicemente che quando si parla dell’analista della parola non si parla propriamente di qualcuno in quanto tale, ma si parla di tutto ciò che non è possibile evitare portando la parola, cioè il pensiero, alle sue estreme conseguenze.