Cosa c’è di più importante

Cos’è più importante?

Tutto dipende da ciò che è più importante. Ciò che per ciascuno è più importante determina la sua vita. Ciò che viene considerato di più importante conduce automaticamente il parlante ad adattare tutto il suo discorso, il suo pensiero, dunque le sue azioni, ad esso. Cioè, ad utilizzare il discorso, il pensiero e l’azione per affermare ciò che è più importante. Ci hai fatto caso? Quando, ad esempio, si pone dio come ciò che è più importante, ogni cosa viene utilizzata per affermare questa importanza. Anche la guerra, anche, e soprattutto, la violenza. Se invece si pone, ad esempio, l’amore verso il prossimo, è il rifiuto della guerra e della violenza che si utilizza per affermarlo. Sì, non è che ci voglia un genio per arrivare a queste considerazioni.

La questione è che, nel voler stabilire cosa è più importante, nel voler stabilire un valore, nessuna cosa può essere autorizzata ad assumere necessariamente quella posizione. Cioè, ciascuna cosa vale quanto l’altra. Tant’è che ciascuno sceglie quella che gli pare e spesso queste scelte sono in contrapposizione. Contrapposizione che non contribuisce affatto all’affermazione di qualcosa, anzi accentua la tendenza alla sua negazione.

Dare importanza a questo o a quello è un atto arbitrario. Un atto, cioè, sorretto da una questione estetica, uno sceglie quello semplicemente perché gli piace di più e non perché effettivamente qualcosa impone necessariamente di dare più importanza a quello. Eppure, a ben vedere, qualcosa c’è che si pone come necessario. Necessario per scegliere. Necessario proprio per distinguere cosa è necessario, cosa cioè è più importante.

Si tratta di ciò che costituisce l’atto di parola. L’atto di parola si distingue dall’atto arbitrario in quanto è necessario anche per distinguere il necessario dall’arbitrario.

L’atto di parola è costituito dalle procedure e dalle regole del logos, cioè quel sistema che comprende il linguaggio e il pensiero. Linguaggio e pensiero sono la stessa cosa. Tant’è che la parola, sia detta che pensata, è pur sempre parola. La loro separazione è stato un atto arbitrario che, ad esempio, era assente presso gli antichi sapienti. Era assente non perché non sapessero che sono due cose differenti, loro erano sapienti e sapevano che sono la stessa cosa. Sì, se sei arrivata/o fin qui è il momento di rivedere le tue considerazioni in merito a cosa siano il linguaggio e il pensiero. Riveditele tu perché sono le tue.

L’atto di parola è la condizione di esistenza di tutto ciò che è arbitrario (tra l’altro per farlo basterebbe considerare attentamente gli animali che, non potendo compiere atti linguistici, non sono in grado di compiere scelte, di modificare arbitrariamente la propria vita). Ora, qual è la condizione di esistenza dell’arbitrario se non proprio il necessario?

Eppure, porre come ciò di più importante l’atto di parola resta cmq una scelta, è cmq un atto arbitrario. Il logos non costringe affatto a fare ciò, anzi, a giudicare dai fatti lascia liberissimi di scegliere. Non ovviamente senza delle conseguenze. Sia nell’uno che nell’altro caso ci sono delle conseguenze, conseguenze che hanno tra loro una differenza abissale.

Soltanto chi non si accorge della necessità dell’atto di parola può considerare più importante ciò che esso produce. Ma questo non accorgersi comporta anche di considerare ciò che l’atto di parola produce (cioè propriamente inferenze, proposizioni e sequenze semiotiche) come delle cose che non sono prodotte dall’atto di parola. Considerazione che porta come conseguenza l’insorgere della “necessità” di adeguare l’atto di parola a tali “cose”.

Forse giunta/o fin qui, cominci a carpire l’assurdità di una cosa del genere e di cosa possa generare a livello di relazioni umane, cioè relazioni tra parlanti: continue discordie e problemi derivanti. Infatti, mentre chi riconosce le cose come una produzione del logos è scevro del bisogno di affermare qualcosa a cui anche gli altri devono adeguare il proprio atto di parola, chi ancora non se n’è accorto è continuamente mosso da questo bisogno e ogni relazione che costruisce ha unicamente come fine l’affermazione di questo qualcosa. Chi non se ne accorge, non si accorge nemmeno di usare le persone per affermare ciò che più considera importante, ciò che più ama. Non per nulla afferma di amare qualcuno per ciò che è. Infatti, per questa persona, questo qualcuno è la conferma della sua affermazione.

Voler affermare qualcosa come qualcosa che non è prodotto dal logos produce tanto l’amore quanto la guerra. Ma è un amore tanto infausto quanto la guerra. Non per nulla, nella storia dell’umanità (che è tutta una conseguenza dell’atto di parola) molte guerre sono state mosse da questo “amore”, a cominciare dalla prima, la famosa guerra di Troia. Non è un caso. So che lo sai. In fondo anche l’amore per dio, per la democrazia, per il denaro e per il potere, è pur sempre amore.

Tutto ciò che impone l’adeguamento dell’atto di parola ad esso, è fonte di problemi.

Perché come può l’atto di parola muoversi ed agire in base a regole che non lo costituiscono?

È chiaramente una follia immaginare che l’atto di parola debba adeguarsi a tali, nemmeno immaginabili, regole. Immaginare una regola è possibile soltanto attraverso le regole del logos, per questo non si può immaginare una qualunque regola come un qualcosa che non è prodotto dal logos. Tanto quando parliamo di teoria della relatività, quanto quando consideriamo l’esistenza della preistoria, compiamo atti di parola.

Perché mai dovremmo adattare gli atti, dunque la propria vita, a quello che dice la relatività o la preistoria? Perché mai considerando che, tanto la relatività quanto la preistoria, hanno come condizione di necessità l’atto di parola?

L’atto di parola è atto di pensiero.

L’atto di pensiero produce le scelte che determinano le azioni che determinano la vita.

Chi non si accorge di ciò, al contrario pensa che sia la sua vita a determinare i suoi atti di parola. Afferma di parlare in nome e per conto di come stanno le cose. Giustifica le proprie affermazioni dicendo che, siccome esiste questo e quello, allora parla in quel modo.

Per questo gli umani vivono continue discordie. Infatti, se esiste questo e quello, non si capisce perché mai uno dovrebbe parlare senza tenere considerazione di tale esistenza, col rischio magari di negarne l’evidenza. Sarebbe molto poco dignitoso sia nei confronti dell’esistenza che lo pone in condizione di parlare, sia nei confronti di tutti gli altri che si impegnano per parlare in nome e per conto di esso. Chi lo fa va chiaramente redarguito.

Fin qui andrebbe anche tutto bene (gli umani sono bravissimi a redarguire, gli viene proprio naturale) se non fosse che, appunto, chiunque può sempre e ovunque negare l’esistenza di ciò che per qualcuno è fondamentale (cioè il fondamento su cui costruisce il proprio discorso) e parlare in modo completamente diverso, affermando l’esistenza fondamentale di qualcos’altro in nome e per conto di cui parla. Cosa che tra l’altro avviene continuamente, ce l’abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.

Eppure, anche qualunque negazione ha come condizione l’atto di parola, tant’è che si può negare qualunque cosa tranne negare di parlare.

Negare la relatività, o la preistoria, produce discorsi differenti, ma non produce alcuna contraddizione.

Negare di parlare invece è un’auto contraddizione.

Negare di parlare nega la possibilità di negare qualunque cosa.

In pratica, negare di parlare nega di negare di parlare.

Tutto chiaro fin qui vero?

In pratica, quando si afferma, o si nega, l’importanza di qualcosa, si afferma l’importanza dell’atto di parola e del logos. Anche quando ciò non avviene apertamente e consapevolmente, di fatto, ciò che si fa è propriamente questo.

Ogni discorso, teoria, pensiero, considerazione, opinione, non fa altro che mostrare l’importanza dell’atto di parola e ribadire le sue regole. Anche quando le nega. 

Ogni discorso, teoria, pensiero, considerazione, opinione, è costruito su un fondamento che può essere posto come tale esclusivamente attraverso una scelta, un atto arbitrario.

Anche porre le regole che costituiscono l’atto di parola come fondamento per la costruzione dei propri pensieri, del proprio discorso, è cmq una scelta.

Niente e nessuno può obbligare ad una cosa del genere.

Ciò a cui, invece, qualunque parlante è obbligato, è costruire discorsi e pensieri, è obbligato a produrre sequenze, cioè a porre un fondamento e da lì costruire.

Questo è un adempimento da cui nessuno può essere assolto.

Tutt’al più, anche soltanto per pensare di poterne esserne assolto, occorre adempierlo. 

L’auto contraddizione è ciò che incombe nel discorso e nel pensiero di chiunque non riconosce, non si accorge, che l’atto di parola è tutto ciò di più importante, necessario e fondamentale, nonché condizione di esistenza di qualunque altra cosa che può essere considerata parimenti.

La questione è che, considerare qualunque altra cosa parimenti, comporta il dover difendere l’affermazione di questa cosa, il doversi scontrare contro chiunque la nega, in un modo o nell’altro. In una lotta continua che non offre mai le condizioni per decretarne la fine, per decretare cioè un’affermazione incontrovertibile.

Considerare qualunque altra cosa parimenti comporta il bisogno di adeguare ciò che si afferma a questa cosa e chi afferma il contrario, semplicemente mente, è un bugiardo, un falso, e siccome glielo si dice che sbaglia, che parla e pensa male, e lui continua, per redarguirlo occorre un’imposizione, occorre forzarlo, altrimenti si è “costretti” a metterlo a tacere.

Altro che questo e quello, altro che dio e il diavolo, altro che il fascismo e il comunismo, altro che ignoranza e cattiveria, altro che soldi e potere. Se gli umani dessero la colpa al logos per tutte le loro malefatte avrebbero un colpevole univoco.

A quel punto smetterebbero di farsi la guerra, o “quell’amore” che non è altro che gioco di potere, tra di loro. Certo, fare la guerra al linguaggio non ha molto senso. E’ come lottare contro sé stessi. E in effetti è questo che fanno gli umani da quando fanno la guerra ed esercitano il potere dell’amore sull’altro. Lottano contro sé stessi.

In effetti, ad analizzare i loro discorsi, gli umani quando affermano qualcosa pare proprio che stiano lottando contro il linguaggio, tanto disperatamente quanto inutilmente.

Lottano contro il logos per affermare ciò che logos non è.

E’ una lotta follemente assurda, lo so.

Lo so che lo sai che per poter immaginare qualcosa che logos non è occorre il logos e che tale immagine, o immaginato, è fondamentalmente un prodotto del logos. 

E’ come soffiare sul fuoco per spegnerlo.

Tutti i tentativi possibili che gli umani mettono in atto nel cercare di fare una cosa del genere hanno effetti devastanti per il loro pensiero e producono in loro sconforto, sofferenza e psicosi. E non è che poi queste non si inseriscano nel modo in cui costruiscono le proprie relazioni, cioè la società.

Mentre considerare l’atto di parola come tutto ciò di più importante, necessario e fondamentale non comporta il dover difendere alcuna affermazione immaginandola più importante e fondamentale di un’altra.

All’interno del logos tutto assume la stessa identica importanza perché tutte sono il prodotto di ciò che le afferma. E’ nell’ “al di là”, in questo “immaginario” inimmaginabile che le “cose” assumono più importanza di ciò che le afferma e ciò che le afferma si deve adeguare ad esse.

Ma è impossibile che un’affermazione possa adeguarsi a qualcosa che non è costituita dalle stesse regole e condizioni di esistenza di un’affermazione.

Pertanto, anche quell’assurdo voler adeguare il discorso, il pensiero, la vita, a ciò che è di più importante, a questo punto non comporta assolutamente di dover adattare la parola alle cose. Al contrario, chiunque voglia seriamente adeguare il proprio discorso e il proprio pensiero, dunque la propria vita, a ciò che vi è di più importante, fondamentale e necessario, è ora che cominci ad adeguare tutte le “cose” che immagina, pensa, considera, argomenta, sceglie, alla parola.